Fake democracy

Non possiamo nasconderci che “abbiamo un problema”. La società democratica necessita di alcuni prerequisiti fondamentali. Il primo è il livello di istruzione della popolazione, indispensabile strumento per alimentare coscienze libere e spirito critico. Il secondo è la sorveglianza rispetto all’insorgere di mezzi di condizionamento dell’esercizio libero dell’espressione democratica. Negli ultimi anni la diffusione senza controllo dell’influenza dei social media e della possibilità di manipolarli sta generando un nuovo pericolo molto subdolo, del quale gli stati democratici devono prendere consapevolezza per attivare adeguate ed efficaci contromisure.

Lo storico israeliano Yuval Noah Harari sostiene che l’affermazione dell’ Homo Sapiens sul pianeta è collegata a quella che lui chiama la “Rivoluzione cognitiva” avvenuta circa 70.000 anni fa. Essa consiste nella caratteristica, unica del nostro linguaggio, non solo di trasmettere informazioni, ma “di trasmettere informazioni su cose che non esistono affatto”. Leggende, miti, dèi e religioni comparvero per la prima volta con la Rivoluzione cognitiva” (Y.N.Harari – Homo Sapiens 2011). Si tratta, secondo Harari, della più importante Rivoluzione che ha riguardato la nostra specie, ben prima della rivoluzione agricola (12.000 anni fa) e di quella scientifica (500 anni fa). Grazie alla capacità di parlare di cose che non ci sono (immaginario) e di immaginarle collettivamente l’Uomo riesce a cooperare in comunità formate da moltissimi individui. Secondo la sua teoria “gran parte della Storia (quella con la S maiuscola) gira attorno alla capacità dell’Homo Sapiens di convincere milioni di persone a credere a narrazioni specifiche circa gli dèi, le nazioni o le società a responsabilità limitata. E quando ci si riesce questo conferisce ai Sapiens un immenso potere….” (cit.).

Questa concezione ci porta a dire che le fake-news non solo sono sempre esistite, ma fanno parte della cifra costitutiva della nostra specie.

Leader carismatici, truffatori e venditori di fumo hanno condizionato da millenni gli avvenimenti degli umani. 

Come tutte le attività umane anche questa (la comunicazione) ha fatto grandi progressi negli ultimi 100 anni, di pari passo con l’evoluzione tecnologica che l’ha resa sempre più potente ed efficace nel condizionare moltitudini sempre più ampie.

Per decine di migliaia di anni lo strumento della  propaganda coincideva con la vis oratoria: Temistocle, Pericle, Cicerone sono passati alla storia per la loro abilità oratoria. E lo strumento erano le piazze (e poi a volte i balconi….).

Un passaggio chiave naturalmente è stata la carta stampata (ma gli essere umani non sono mai stati grandi lettori). Nell’ultimo secolo abbiamo assistito a un incremento esponenziale della potenza dei mezzi di comunicazione che, non a caso, sono diventati “mezzi di comunicazione di massa”.

La diffusione della radio ha forse rappresentato il salto più decisivo. La scoperta che, parlando a un microfono, si poteva arrivare simultaneamente a milioni di persone ha plasmato la comunicazione politica (e quella pubblicitaria in genere).

Hitler e Mussolini ne hanno fatto larghissimo uso per catturare consenso e restano memorabili alcuni “discorsi dei potenti” come quello di Giorgio VI per annunciare al popolo britannico l’entrata in guerra contro la Germania (Il discorso del Re).

Negli anni ’50 del secolo scorso è arrivata la televisione, il sistema di broad-casting per eccellenza, che ha cambiato totalmente la pubblicità sia commerciale che politica.

La percezione della potenza dei mezzi di comunicazione di massa ha dato origine nelle diverse legislazioni a sistemi di contenimento per evitare il rischio di condizionamento eccessivo da parte dei loro possessori.

Il reato di abuso di credulità popolare, ancora presente nel codice penale italiano (art. 661), più adatto ai venditori di elisir di lunga vita, è stato affiancato da un succedersi di varie leggi nel tentativo (vano?) di limitare l’abuso dei mezzi di comunicazione in generale ed in particolare  del loro utilizzo per  condizionare l’esito delle elezioni. Si veda per esempio, per restare in Italia, le Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica  – Legge 28 del 2000).

La diffusione di internet e l’affermarsi dei digital media ha nuovamente modificato radicalmente la comunicazione di massa. Il cambiamento è stato rivoluzionario dal momento che ha introdotto la capacità di personalizzazione dei messaggi pur mantenendo la possibilità di rivolgerli ad una audience estremamente vasta e così realizzando il sogno del comunicatore:  raggiungere milioni di persone, ma contemporaneamente fare arrivare messaggi differenziati per tipologie di target fino addirittura arrivare a indirizzare i singoli individui intercettandone gusti e preferenze. 

Da qualche anno il tema del condizionamento delle elezioni attraverso l’utilizzo di internet sta diventando sempre più centrale e sempre più preoccupante. Voto britannico per la Brexit e voto per le presidenziali americane del 2016 sono stati considerati oggetto di sperimentazioni su larga scala di questi sistemi.

Non esiste dubbio sul fatto che esista la possibilità tecnologica di utilizzare la rete e gli strumenti social con diversi sistemi.

Questo nuovo “salto” nella capacità di condizionamento dell’elettorato, che ha visto di recente ipotizzato anche l’intervento di Paesi stranieri nel tentativo di condizionare a proprio vantaggio l’esito delle tornate elettorali, sta generando forti preoccupazioni per il rischio che si possano indebolire strutturalmente i sistemi democratici e conseguentemente sta dando origine ai primi tentativi di contenerne gli abusi (vedi le Linee guida per la parità di accesso alle piattaforme online durante la campagna elettorale per le elezioni politiche 2018, emesse dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni il 1 febbraio 2018).

Il fenomeno del condizionamento del voto elettorale tramite internet è certificato anche dal proliferare di pubblicazioni scientifiche dedicate alle modalità tecniche e agli algoritmi più efficaci per ottenere questi risultati.

Le piattaforme di social media (Facebook, Twitter, Instagram, Pinterest, YouTube, Tik-Tok, etc) sono nate con l’obiettivo di mettere in contatto tra loro le persone, ma poi, nella necessità di mettere a punto modelli di business profittevoli, hanno gradualmente modificato il loro obiettivo che, nel solco di Google, è diventato la raccolta pubblicitaria. Queste piattaforme stanno drenando la maggior parte della raccolta pubblicitaria del pianeta in competizione con i media tradizionali. Ma è una battaglia impari in quanto i social media possono mettere in campo una conoscenza dettagliatissima dei profili, delle propensioni e dei gusti delle persone. Non più un messaggio uguale per tutti, ma messaggi personalizzati a livello del singolo individuo.

Dal grafico sottostante, che mostra la ripartizione della raccolta pubblicitaria nel mercato americano, si evince come la raccolta pubblicitaria sui media digitali abbia ormai superato decisamente la somma di quella su tutti gli altri media.

Questa osservazione porta a due considerazioni parallele e convergenti. Da un lato apre una enorme questione sulla possibilità di sopravvivenza in futuro dei media tradizionali che costituiscono uno dei cardini dell’ossatura dei sistemi democratici, e dall’altro rafforza l’idea che la pubblicità on-line, molto più sotterranea e meno controllata, possa svolgere un ruolo fortemente distorsivo dello svolgimento delle manifestazioni della vita democratica, prima tra tutte il voto libero da condizionamenti. Si tenga presente che per fare arrivare comunicazioni a larghe fette di popolazione e condizionarne l’opinione non occorrono nemmeno mezzi economici particolarmente rilevanti. Lo sanno bene tutti coloro che utilizzano per le proprie aziende questi strumenti di comunicazione: con poche migliaia di euro è possibile indirizzare i propri messaggi verso centinaia di migliaia di individui.

Il sistema alla base dell’utilizzo dei social media è un circuito perverso . Gli utenti lo utilizzano sempre più frequentemente e in questo modo forniscono informazioni sempre più dettagliate sulle loro personalità attraverso i propri comportamenti (i famosi “mi piace”, ma anche il tempo passato su ogni post, la velocità di scorrimento, le ricerche su Google etc.) accelerando la capacità di apprendimento degli algoritmi di intelligenza artificiale che diventano sempre più precisi. Non ce ne rendiamo conto, ma i social media diventano creatori di veri e propri palinsesti diversificati per ciascun individuo.

Il risultato è un sistema “convergente” che fa arrivare alle persone i messaggi che da queste risultano più graditi e in questo modo limita fortemente la possibilità di confrontarsi con punti di vista diversi. Ciò genera comunità autoreferenziali, graniticamente convinte, spesso in buona fede, delle proprie opinioni, minando alla base la diffusione dello spirito critico, ingrediente fondamentale delle società democratiche.

Non possiamo nasconderci che “abbiamo un problema”. La società democratica necessita di alcuni prerequisiti fondamentali. Il primo è il livello di istruzione della popolazione, indispensabile strumento per alimentare coscienze libere e spirito critico. Il secondo è la sorveglianza rispetto all’insorgere di mezzi di condizionamento dell’esercizio libero dell’espressione democratica. Negli ultimi anni la diffusione senza controllo dell’influenza dei social media e della possibilità di manipolarli sta generando un nuovo pericolo molto subdolo, del quale gli stati democratici devono prendere consapevolezza per attivare adeguate ed efficaci contromisure.

Last modified: 10 Febbraio 2021

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