XXI: il secolo leggero

Di Società e cultura, Sostenibilità, Tecnologia

Il 21° secolo è destinato ad essere il secolo della leggerezza, un secolo che segue il 20°, “il secolo breve” secondo Hobsbawm, ma anche il secolo “pesante”, come intuito da Calvino. Lo spostamento dall’industria ai servizi (la cosiddetta terziarizzazione dell’economia) e l’affermazione del prevalere del software sull’hardware stanno portando l’economia a maneggiare sempre di più conoscenza e leggerezza. Una nuova stagione di investimenti virtuosi può portarci rapidamente verso gli obiettivi di sostenibilità e di benessere diffuso a cui aspiriamo e verso il quale è viceversa prevalente un pervasivo pessimismo. Ma c’è l’ostacolo del PIL..

“Oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si regge su entità sottilissime: come i messaggi del DNA, gli impulsi dei neuroni, i quark, i neutrini vaganti nello spazio dall’inizio dei tempi… Poi l’informatica. E’ vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza dell’hardware; ma è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo da elaborare programmi sempre più complessi. La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate di acciaio, ma come i bit d’un flusso d’informazioni che corre sui circuiti sotto forma d’impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bit senza peso.”

Così scriveva Italo Calvino nel nei suoi appunti per le lezioni che era stato invitato a tenere all’Università di Harvard all’interno delle Charles Eliot Norton Poetry Lectures nell’anno accademico 1985-86. L’ambito era la comunicazione poetica, letteraria, musicale, figurativa. Il tema era libero. E Calvino con una intuizione formidabile decide di lasciare una sorta di testamento per il millennio a venire intestando i suoi appunti: “Six Memos for the next millennium”. La prima delle parole chiave lasciate da Calvino in eredità al XXI secolo è proprio LEGGEREZZA.

Le lezioni non si tennero a causa della morte dello scrittore avvenuta nel settembre 1985. I testi furono trovati dalla moglie e pubblicati postumi, rendendoli famosissimi, col titolo “Lezioni Americane” nel 1988.

Calvino nelle sue lezioni parlava di poesia e di scrittura, ma, come si percepisce dalla citazione riportata all’inizio, aveva avuto intuizioni che andavano ben al di là. E’ abbastanza singolare leggere una descrizione dell’informatica così acuta da parte di un letterato, in un’epoca in cui la maggior parte delle persone non avevano ancora sentito parlare né di hardware, né di software.

E in effetti la sua intuizione ci consente di portare avanti le considerazioni che il titolo di questo articolo lasciava percepire. Il 21° secolo è destinato ad essere il secolo della leggerezza, un secolo che segue il 20°, “il secolo breve” secondo Hobsbawm, ma anche il secolo “pesante”, come intuito da Calvino.

Il ‘900 ha portato avanti un processo di “modernizzazione”, iniziato nell’800, che ha visto il trionfo delle macchine, dell’industrializzazione diffusa, dell’acciao e del cemento. Industria pesante, come ancora oggi la si chiama, fortemente energivora e di conseguenza fortemente inquinante, con grande consumo di risorse naturali. L’immagine che ci portiamo dietro è tetra e scura. Verso il finire del secolo si sono innescati fenomeni nuovi dovuti alla ricerca scientifica, alla tecnologia e all’affermasi di nuovi modelli economici. In parallelo, la crescita costante della popolazione del pianeta (1,650 miliardi nel 1900; quasi 6 miliardi nel 1999), innesca i primi allarmi sull’impatto che il modello di sviluppo (crescita costante, pesante ed energivora) genera rispetto alle sorti del nostro pianeta

E’ del 1972 il famoso primo rapporto del Club di Roma intitolato ” I limiti dello sviluppo” pietra miliare della nascita del concetto di sostenibilità, ancorché inascoltato per almeno 25 anni.

L’aumento di produttività nell’agricoltura grazie all’avvento delle macchine ha diminuito radicalmente la necessità di forza lavoro dedicata alla produzione del cibo e ha liberato risorse che sono state attratte dal nuovo mondo dell’industria. Il ‘900 è stato caratterizzato anche dalla costante ricerca di aumento di produttività nella produzione industriale, con il sempre maggiore inserimento dell’automazione (macchine per costruire macchine).

Sono nate nuove competenze e nuove specializzazioni necessarie per governare queste nuove complessità, che vengono terziarizzate. Cresce una economia dei servizi che gradualmente genera una nuova occupazione a fianco di quella industriale.

Gli ultimi trent’anni del secolo scorso vedono lo sviluppo impetuoso di una nuova tecnologia – l’informatica – e la crescita rapidissima di nuove imprese e di nuove professioni legate all’informatica e in particolare alla realizzazione del software.

Si tratta di un modello economico totalmente nuovo nel quale si azzera il costo marginale dei prodotti. Per sviluppare i prodotti software occorrono grandi investimenti, ma una volta realizzato il primo la sua duplicazione non costa nulla. Dal secondo esemplare in poi fino all’infinito la produzione non comporta più costi. Questo sconvolge i paradigmi dell’industria tradizionale che invece, anche se usufruisce di quelle che si chiamano economia di scala quando la produzione aumenta, deve comunque confrontarsi con costi marginali consistenti: per produrre ciascuna auto (anche se ne fabbrico milioni) avrò sempre bisogno di materie prime, di semilavorati e di manodopera; una suite di Office posso scaricarla da internet senza che questo generi alcun costo in capo alla Microsoft.

Per questo motivo in questa nuova industria si affermano giganti tendenzialmente monopolisti che generano marginalità sconosciute all’industria tradizionale. E non a caso le imprese a maggiore capitalizzazione e gli individui più ricchi del pianeta in questa epoca fanno in gran parte capo all’industria del software (quello che chiamiamo “il mondo digitale”).

Lo spostamento dall’industria ai servizi (la cosiddetta terziarizzazione dell’economia) e l’affermazione del prevalere del software sull’hardware stanno portando l’economia ad avere a che fare sempre di più con la conoscenza e la leggerezza.

A questo si aggiunga che la ricerca di prestazioni (e di riduzione dell’intensità energetica) stanno portando grandi risultati sul fronte della realizzazione di nuovi materiali. In tutti i campi, nuovi materiali leggeri stanno sostituendo quelli pesanti. Gli esempi sono numerosissimi: ne citiamo solo uno, forse il più emblematico: il grafene. Si tratta di una pellicola di carbonio dallo spessore di un atomo (!). Lo si sta iniziando ad introdurre in molteplici applicazioni, tra cui costruzioni spugnose in tre dimensioni, dieci volte più dure dell’acciaio e decisamente più leggere. 

Struttura di grafene

Il “mondo leggero” assume caratteristiche sostanzialmente diverse da quello “pesante”. Prima di tutto è un mondo decisamente meno energivoro e la cosa è abbastanza ovvia: per spostare un oggetto molto pesante occorre molta più energia di quella che occorre per spostare un oggetto che ha le stesse caratteristiche e funzionalità, ma è molto più leggero. La riduzione dell’energia necessaria per unità di prodotto ridimensiona moltissimo la emergenza energetica legata al nostro sviluppo e costituisce quindi di per sé un grande aiuto verso la creazione di un modello di sviluppo sostenibile

Un altro passaggio legato alle nuove generazioni di tecnologie è che queste possono consentire ai Paesi ancora in via di sviluppo di “saltare” alcune delle fasi dello sviluppo industriale che noi abbiamo necessariamente dovuto attraversare. Si pensi alle telecomunicazioni. Oggi stiamo assistendo alla diffusione della telefonia cellulare in aree del mondo che non erano dotate delle infrastrutture capillari necessarie per l’introduzione della telefonia fissa.

In molti Paesi si stanno privilegiando le fonti rinnovabili per la produzione dell’energia elettrica, saltando la fase della produzioni da grandi centrali funzionanti con le fonti fossili. La produzione da fonti rinnovabili, oltre ad annullare le emissioni di gas inquinanti e di CO2, fa invecchiare istantaneamente la geopolitica energetica. Le fonti rinnovabili sono equamente distribuite: ogni territorio ha il proprio vento, la propria acqua e il proprio sole.

Rose e pannelli raccolgono energia dal sole

Il salto tecnologico cui stiamo assistendo modifica anche i tradizionali paradigmi relativi al reperimento delle risorse economiche e alla valutazione degli investimenti. In molti casi si presentano possibilità di investimenti a rischio bassissimo, dato che il loro ritorno è garantito da leggi della fisica e da tecnologie ampiamente consolidate. Un solo esempio tra tanti: la sostituzione dell’illuminazione tradizionale con illuminazione a led è un investimento che si ripaga con assoluta certezza in tempi rapidissimi.

Una nuova stagione di investimenti virtuosi può portarci rapidamente verso gli obiettivi di sostenibilità e di benessere diffuso a cui aspiriamo e verso il quale è viceversa prevalente un pervasivo pessimismo.

C’è però un ostacolo che va rimosso per dispiegare questi nuovi paradigmi: l’utilizzo del PIL come elemento base per misurare lo sviluppo e il benessere. Il PIL è la misura del XX secolo. E’ tarato sulla pesantezza (parlo proprio di tonnellate..). Il PIL, come sappiamo, comprende al proprio interno anche tutte le cosiddette “esternalità negative”. La riduzione di energia per spingere un veicolo provoca una riduzione del PIL. La realizzazione di interventi in edilizia per ridurre drasticamente il consumo di energia di un edificio provoca la riduzione del PIL.

Il PIL è uno strumento grossolano, adatto all’economia “pesante”, ma assolutamente inadatto per passare dall’economia pesante all’economia leggera, per la quale l’utilizzo del PIL “rema contro” e “ci sbarra la strada”.

Se misurassimo lo sviluppo dell’umanità con un indicatore diverso, più armonico rispetto ai nuovi obiettivi che ci prefiggiamo, allora questo diventerebbe un formidabile motore, una guida e un orientamento veritiero delle nostre attività. L’utilizzo del PIL è uno “strumento truccato” di cui dobbiamo liberarci rapidamente.

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Last modified: 10 Febbraio 2021

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